Molta pubblicità, poco progresso?

di redazione di NoiNo.org

Molta pubblicità, poco progresso?

"Come comunicare la violenza contro le donne?" è il titolo della seconda scheda del kit scuole di NoiNo.org. La domanda nasce da un paradosso: le campagne contro la violenza di genere sono sempre più diffuse, ma spesso diffondono proprio gli stereotipi che dovrebbero combattere. Come se ne esce? Per cominciare, portando questi temi nelle classi in cui si formano i pubblicitari di domani. Ma il sessismo in comunicazione non riguarda solo le campagne sociali... Parliamo di pubblicità con qualcuno che se ne occupa professionalmente e conosce NoiNo.org molto da vicino. Elisa Coco è una delle socie fondatrici di Comunicattive, l'agenzia pubblicitaria che ha la "comunicazione di un certo genere" come mission e firma la scheda del kit. Giannandrea Bultrini è il copywriter di Studio Talpa, che dal 2012 segue la comunicazione del progetto NoiNo.org insieme a Comunicattive. Ecco il loro dialogo.

Giannandrea: Rispetto quando il progetto NoiNo.org è partito (più di 6 anni fa), mi sembra che siano cambiate molte cose, almeno come tendenza: il contrasto agli stereotipi di genere è stato cavalcato da alcuni grandi marchi e dalle multinazionali dell'advertising. Pensa  alla campagna Like a girl di Always, alla recente svolta di Gillette o al premio al festival pubblicitario di Cannes alla "ragazza senza paura " di Wall Street... Ma non mi pare che tu veda segnali positivi. Come mai?

Elisa: È una questione di scala: stringendo l'inquadratura sulla realtà italiana e sulle campagne antiviolenza, non vedo grandi cambiamenti. Malgrado i tanti interventi sul ruolo dei media, anche da parte di divulgatrici come Loredana Lipperini e Michela Murgia, il filone dominante mi sembra rimasto quella "ri-vittimizzazione" della donna. Un immaginario che si nutre della rappresentazione della violenza in tutte le sue forme (dai lividi alle donne-bambola), e viene ribadito dagli inviti a "non stare zitta", a "uscire dal silenzio". Queste call to action delle campagne involontariamente spostano la responsabilità sulle vittime, aggiungendo alla "colpa" di aver subito la violenza quella di non averla denunciata.

G. Da che dipende secondo te questa "tradizione" pubblicitaria, dalla pigrizia dei creativi? È sempre più facile fare una campagna sociale con un approccio negativo, mostrando il problema con un'immagine shockante.

E. Mah, credo che la responsabilità sia soprattutto dal permanere dei cliché trasversali, che diventano dei veri e propri riflessi condizionati, purtroppo non solo tra i pubblicitari ma anche tra le associazioni o gli enti pubblici che commissionano le campagne.

G. Dopo la notorietà di NoiNo.org, in Italia la quantità di campagne per il 25 novembre rivolte a un pubblico maschile è aumentata, adeguandosi a una tendenza internazionale.

E. Negli anni passati sì, ma guardando all'ultima edizione mi pare che la comunicazione "al maschile" sia una tendenza in calo. La maggior parte delle iniziative rimangono centrate sul pubblico femminile. E alla maggiore quantità di iniziative - che in sé è una buona notizia - non corrisponde una maggiore qualità. Anche perché ormai sono così tante che è difficile monitorarle.

G. La "Giornata per l'eliminazione della violenza contro le donne" è entrata nei calendari dei social media manager: ormai possiamo dire che "25 novembre is the new Festa della Mamma"?

E. Non esageriamo! Ma è vero che tantissime realtà si sentono in dovere di "uscire" in questa occasione. Tanti soggetti del sociale, però, non sono competenti su un nodo delicato come quello tra media e violenza. E molti brand commerciali si limitano a fare del pinkwashing, un'operazione per ottenere un ritorno d'immagine positivo usando strumentalmente le questioni di genere.

G. NoiNo.org guarda al futuro. Ma in attesa delle nuove generazioni, cosa si può fare nel breve periodo?

E. Non è facile, ma si dovrebbero moltiplicare le occasioni di sensibilizzazione e formazione sia verso gli autori e le autrici della comunicazione che verso la committenza. Penso soprattutto alle associazioni e agli enti locali. Per i grandi brand, invece, credo che la strada sia quella della co-progettazione, coinvolgendo chi si occupa del fenomeno della violenza di genere da anni.

G. Tornando alla pubblicità "yes profit": abbiamo citato campagne esplicitamente antisesiste che fanno notizia. Ma quello che manca secondo me sono le campagne semplicemente "non sessiste". Quali sono i punti fondamentali a cui i creativi e le creative dovrebbero fare attenzione?

E. Credo sia importante non continuare a ricalcare gli stereotipi più triti nella rappresentazione dei ruoli di genere e della composizione familiare, ed evitare la sessualizzazione del corpo femminile: che non corrisponde necessariamente a idee più bacchettone, ma a una creatività più varia... Basterebbe che la pubblicità seguisse i cambiamenti del "paese reale". Anche "solo" per un vantaggio concreto, se non per rispettare l'etica professionale* e le indicazioni della Convenzione di Istanbul, sottoscritta anche dall'Italia!

*I pubblicitari non hanno un ordine professionale con relativo codice etico, ma l'Art Directors' Club Italia ha pubblicato un manifesto deontologico a cura dall'ex presidente Massimo Guastini - che si è molto speso sul tema della pubblicità sessista - con la collaborazione di riconosciuti professionisti e teorici del mestiere come Pasquale Barbella e Annamaria Testa.



Comunicazione: Studio Talpa | Comunicattive