I maschi e l'educazione al genere

di redazione di NoiNo.org

La violenza maschile contro le donne è un iceberg: quello che emerge, che è visibile, che spicca nella percezione collettiva è solo la punta, rappresentata dai casi di femicidio. Ma se la punta è resa così acuminata e tagliente dal fatto che in Italia ogni 2/3 giorni un uomo uccide la moglie, la compagna o la ex, cosa c'è alla base dell'iceberg, nella parte sommersa, non visibile, che non desta scalpore? A smentire ogni lettura emergenzialista della violenza contro le donne, la base è fatta di una cultura comune che è ancora diffusa, accettata, dominante. Una cultura che ha molto a che fare con il modo in cui ci costruiamo, ci rappresentiamo e ci rapportiamo come uomini e donne. 

In questo momento in cui le pratiche di educazione al genere ricevono rinnovati attacchi e censure, ci sembra importante collegare questi fili e ragionare su come l'educazione al genere e alle differenze sia fondamentale per cambiare la cultura della violenza. Per questo vi proponiamo un contributo elaborato in occasione della scorsa edizione dell'incontro nazionale Educare alle differenze, svoltasi a Palermo a fine settembre. Nello specifico queste riflessioni, curate da Sandro Casanova, educatore attivo all'interno del progetto NoiNo.org, nascono all'interno della conversazione sul tema "L'identità maschile e la prevenzione della violenza maschile contro le donne", svoltasi il 29 settembre al Cinema De Seta, a cui Sandro ha partecipato insieme a Giuseppe Burgio dell'università Kore di Enna, Stefano Ciccone dell'associazione Maschile Plurale e Francesco di Noi Uomini a Palermo

Quando avevo 16 anni, molto tempo fa, a scuola mi sentivo il classico sfigato: non avevo certo un fisico da macho, non sapevo bene come comportarmi, non mi piacevano le cose che piacevano ai miei compagni, indeciso se attratto più dai ragazzi o dalle ragazze. Non riuscivo a trovare un posto MIO da nessuna parte e non mi identificavo in nessun gruppo. Ancora Diario di una schiappa non era un libro bestseller. Quando nel tempo con molta fatica ho compreso in che direzione era orientato il mio desiderio, il mondo esterno mi etichettava con le parole più spregevoli e quel tipo di amore era considerato innominabile se non pericoloso: Freddie Mercury moriva di Aids, tra pettegolezzi e denigrazione. Eppure oggi Bohemian Rhapsody sbanca i botteghini di tutto il mondo.

Quando entro in una scuola per un laboratorio NoiNo.org, mi chiedo sempre chi sono i maschi che ho di fronte, quali sono le loro passioni, i loro desideri. Attento alle loro parole, cerco di osservare come si muovono nello spazio: se sono in posizione defilata, zitti, indifferenti, con il corpo dimesso, o se piuttosto irrequieti, casinisti, pronti ad alzare la voce, se sono quelli che si "fanno fighi" davanti alle compagne, che vogliono mostrare di saperla lunga, quelli che pensano che il corteggiamento sia una tattica e aspettano fin troppo sicuri di sé perché tanto alla fine una ragazza cede, gli stessi quasi sempre che credono nell'amore "litigarello" e nella gelosia come un ingrediente necessario per far capire "quanto ci tieni a lei". Ci sono dei modelli, sempre e comunque, ci avvisano gli insegnanti prima di entrare in aula, ed effettivamente emergono senza troppa difficoltà. Sono modelli realmente condivisi? È un'immagine di facciata, una provocazione verso noi educatori, verso gli adulti in generale?

Questi dubbi mi hanno portato a pensare che non so quanto realmente io educatore sia in grado di conoscere questi ragazzi che incontro, mi interrogo sulle aspettative che loro riversano in me e sento che tutte le contraddizioni che emergono sono un sintomo, un bisogno di ricerca. E come in tutte le le ricerche, ognuno cerca di seguire una propria strada, a volte in modo più nitido, a volte in un percorso con molti ostacoli e incertezze, soprattutto quando devia dai binari soliti, lontano dalla maggioranza. Ripenso all'adolescente che ero, a quanto ero isolato, incapace di condividere parole, situazioni con gli altri, perché convinto fossero solo unicamente mie, cresciuto con l'immagine della scuola come un posto triste che reprime i desideri, una scuola che nega identità differenti, i corpi non conformi e la possibilità di espressione. In tutti questi anni, anche grazie ai laboratori NoiNo.org, mi sono sempre più convinto che deve esserci un'altra scuola: una scuola dove possa emergere ogni tipo di domanda e tutta la complessità, in cui non aver paura di quello che si dice, non aver aver paura del proprio comportamento, delle proprie aspirazioni.

Quelle ore passate insieme ai ragazzi e alle ragazze devono essere lo spazio di libertà dove ognuno possa sentirsi a suo agio, dove possano essere sullo stesso piano tutte le storie e dove ogni corpo possa essere manifestato, raccontato e non nascosto o disciplinato. La sfida più alta è stare insieme a loro e non assumere il ruolo di quelli che fanno lezione, non l'esperto, non l'uomo "giusto" che indica la strada, nemmeno "l'amicone", che cerca complicità maschile (quante volte mi son visto fare l'occhiolino da alcuni ragazzi di fronte ai loro commenti sulle compagne?). Sono in classe, un corpo insieme ad altri corpi. E sento che è anche o forse proprio lì che bisogna andare più in profondità, perché questi corpi maschili riescano a trovare linguaggi che siano oltre quelli della forza, della competizione e del dominio, anche dell'affettività e della tenerezza, corpi che imparano a prendersi cura di sé, degli altri e delle altre, tra imbarazzi e reticenze.



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